Ho intrapreso questo progetto SVE con lo spirito di chi ha davvero voglia di mettersi in gioco, e soprattutto con la consapevolezza che “i tempi sono maturi”. Ricordo bene la lettera motivazionale che mandai in allegato alla mia candidatura per il progetto, dove scrissi qualcosa come “ I wanna learn what I can’t get from books”. E in effetti, l’idea con la quale sono partita era proprio quella di conoscere, assaporare, vedere, toccare con mano, perché bello leggere, sì, ma c’è anche un sapere che va ben oltre la manualistica, e che si scopre solo mettendosi in cammino. La fortuna poi di trovare un progetto come “Open minds-open horizons”, così in sintonia con i miei interessi e la mia “filosofia”, ha sicuramente portato quest’esperienza aldilà delle aspettative iniziali.
Cesis, riserva naturale nel nord della Lettonia, è stata la nostra casa per 4 settimane nel pieno dell’estate italiana, quando sul Baltico però, i frequenti acquazzoni promettevano tutto tranne il sol leone d’agosto. Nonostante la prevedibile (e forse un po’ scontata) nostalgia delle calde temperature, porterò per sempre nel cuore la bellezza di una natura che fa da padrona, selvaggia ed incontaminata. Il gruppo di volontari che prende parte al progetto è vivace e in perfetta sintonia, l’associazione “Pievenotavertiba” ci ospita in un clima di armonia e familiarità, la location è tutta da scoprire e il progetto è praticamente una scatola chiusa. Insomma tutte le carte in regola per uno SVE di gran successo!
Le sole premesse però non sono mai sufficienti a determinare il successo di un’esperienza. Ci vuole anche “farina del proprio sacco”, impegno, volontà, e soprattutto collaborazione. Tutte cose, queste, che avrei imparato effettivamente solo a stretto contatto con i partecipanti al progetto, in una forzata, ma voluta, convivenza. Lo scopo era appunto quello di scoprire insieme il significato della parola open-mindedness, che oggi più che mai viene spesso svuotata del suo significato, ed utilizzata come un orpello per i nostri discorsi. Quante volte ci sarà capitato di sentir dire, o di dire noi in prima persona, che “bisogna avere una mente aperta”? Parole utili all’occorrenza, self-service, ma non sempre oneste. La cosiddetta mente aperta è quel concetto di accoglienza dell’altro, del diverso, dello straniero, proprio nonostante e aldilà della sua diversità. È un senso profondo e assolutamente spontaneo, ma convinto, di accettazione. E come imparare tutto questo se non in un progetto SVE? Paul, Noemi, Vânia, Marta, Agì, José, Eszter sono proprio quegli sconosciuti diventati poi amici, confidenti, compagni di viaggio e non solo. Un legame sincero ci accompagna ancora oggi nelle nostre telefonate Skype, con la speranza di non perderci mai. Il progetto e la realizzazione finale del festival hanno rappresentato, in questo SVE forse più che in altri, uno strumento concreto per arrivare al punto: saper stare insieme, grazie alle nostre diversità. E a distanza di mesi, ritorno con la mente (spero davvero aperta) a quei ricordi, e mi risuonano in testa alcuni versi di uno scrittore spagnolo, Antonio Machado, che una delle compagne del progetto ha rispolverato dai miei studi: Caminante no hay camino, se hace camino al andar. Ed in effetti mi pare chiaro, con questi versi in mente, che non ci sia nessuna strada sicura da intraprendere, nessun progetto SVE giusto o perfetto: il percorso si svelerà in tutto il suo potenziale solo a chi avrà il coraggio di mettersi in cammino!
Alessia